L'argento possiede un'immagine storica molto consolidata; la collezione Santambrogio, prodotta in serie limitata e numerata, cerca di rinnovarne le forme e la leggerezza, combinando la preziosità dell'argento con la trasparenza del plexiglass.
Andrea Branzi
Apparentemente la collezione di argenti progettati da Andrea Branzi e realizzati da De Vecchi non percorre traiettorie impreviste ed eccitate, non è alla ricerca di forme "nuove" né viene chiesto alla tecnica produttiva di trovare "nuovi" modi per rincorrere il progetto nel dopo Duemila. A renderla interessante è il teorema che Branzi applica: la condizione eterna delle "cose". Dove per "cose" non si narra solamente di oggetti d'uso, come di fatto questi pezzi sono, ma di elementi - siano essi frammenti di natura, luoghi teorici, scenari meditativi - che veicolano pensiero e producono dignità tangibile. In questa ricerca della condizione eterna delle cose va poi riconosciuto un certo coraggio progettuale, che come la Nouvelle Vague fa emergere lo "splendore del vero" dall'eliminazione dell'artificio, oltre alla visione condivisa del mondo del progetto come territorio dialetticamente umanistico, come Dilmos nella sua lunga e felice attività ha saputo coltivare.
Questi elementi d'argento (vasi, recipienti, basi) non sono alla ricerca della performance artigiana, di cui De Vecchi detiene il record (basti pensare al lavoro di Gabriele De Vecchi), ma come monoliti di luce, immobili, sono "Indifferenti al frazionamento del mondo e della conoscenza, sono come macro-molecole dotate di un proprio nucleo profondo"(AB). Galleggiano lunari, e poggiano su basi di plexiglass che li rendono "meno ecclesiastici e più pagani", applicando misura e gentilezza di cui è stato portatore l'uomo a cui la collezione è dedicata. Una famiglia meneghina dunque, segnata dal sodalizio tra due realtà milanesi - Dilmos e De Vecchi - che hanno radici storico-culturali tra loro molto distanti, e allo stesso tempo sacrosante per la cultura del progetto.
Dilmos nasce nel 1980, come spazio espositivo di mobili di design. La scelta dei pezzi si orienta verso gli oggetti più emblematici del design moderno affiancati a mobili prodotti da aziende che esprimono la contemporaneità degli anni '80. A quest'attività si affianca quella di spazio in cui si organizzano alcune mostre, questo porterà Dilmos ad interagire sempre più direttamente col mondo del design, scegliendo di prima persona gli autori con cui collaborare ed i loro lavori. Questo impegno nasce dalla crescente constatazione del valore e del significato della poetica dell'oggetto. Un'interessamento profondo che porterà Dilmos ad occuparsi essenzialmente di lavori la cui peculiarità é caratterizzata dalla forte carica comunicativa e narrativa.
A partire dal 1985, momento che viene a coincidere con una mostra dedicata ad Alessandro Mendini, le scelte della Dilmos si orientano sempre di più verso autori ed oggetti che esprimono pienamente questa filosofia, in cui ogni mobile diventa rappresentazione ed al tempo stesso oggetto di ricerca di un pensiero sempre più profondo dell'autore, veicolo di comunicazione e d'interazione col mondo.
Oggetto comunicativo, quindi, non unicamente funzionale, ma nemmeno oggetto-soggeto simbolico, totem muto della nostra società ipercomunicante, questa vuole essere la prerogativa della ricerca, sempre in azione, in discussione e superamento di se stessa, della Dilmos.
Gli oggetti presenti da Dilmos non possiedono una progettualità stilistica uniforme, la coerenza non si scopre nel segno degli autori ospitati in questi anni, ma nelle intenzioni, nella volontà comune di considerare i pezzi che animano una casa, uno spazio, come elementi che virtualmente ne accolgono il pensiero e che ne trasmettano, attraverso la loro alta capacità narrativa, le poetiche e le intenzioni.
I linguaggi degli autori sono quindi molteplici, poiché molteplici sono le gestualità ed i pensieri di ciascuno, ma non per questo incomunicabili. E' in questa logica che si sono dirette alcune esperienze che la Dilmos ha fatto lavorando proprio sull'intenzione di rendere tra loro comunicabili linguaggi e poetiche.